La comunione legale dei coniugi è il regime patrimoniale ordinario previsto dal nostro ordinamento in assenza di una diversa scelta, come la separazione dei beni. In questo sistema, tutti i beni acquistati dai coniugi durante il matrimonio, indipendentemente da chi li abbia acquisiti, entrano a far parte della comunione. Fanno eccezione i beni personali, come quelli ricevuti per eredità o donazione, i beni destinati esclusivamente all’uso personale od all’esercizio di una professione, e quelli acquistati con il ricavato della vendita di beni personali. La comunione legale riflette il principio di uguaglianza tra i coniugi, garantendo una gestione condivisa del patrimonio accumulato durante il matrimonio.
Gli atti di straordinaria amministrazione secondo l’articolo 180 c.c.
L’articolo 180 del codice civile disciplina l’amministrazione dei beni in comunione legale. Gli atti di ordinaria amministrazione possono essere compiuti da ciascun coniuge autonomamente, mentre quelli di straordinaria amministrazione richiedono il consenso di entrambi. Tra questi atti rientrano, ad esempio, la vendita di beni immobili o mobili registrati. Ovvia la finalità: proteggere l’interesse comune, evitando che un coniuge possa disporre unilateralmente di beni rilevanti per l’equilibrio patrimoniale familiare.
In caso di mancato consenso dell’altro coniuge, l’atto è soggetto a specifici rimedi giuridici.
Gli atti di straordinaria amministrazione privi di consenso secondo l’articolo 184 c.c.
L’articolo 184 c.c. prevede infatti che gli atti di straordinaria amministrazione, compiuti da un solo coniuge senza il consenso dell’altro, siano annullabili purché riguardino beni immobili o mobili registrati. L’azione di annullamento può essere promossa dal coniuge dissenziente entro un anno dalla conoscenza dell’atto o dalla sua trascrizione nei pubblici registri. Così disponendo, il legislatore ha cercato di individuare un punto di equilibrio tra la tutela del coniuge non consenziente (che può impugnare l’atto) e l’affidamento del terzo acquirente (che vede l’incertezza ridotta ad una finestra temporale di un solo anno).
La validità del contratto preliminare firmato da un solo coniuge (Cass. 12923/2012)
Le disposizioni sopra commentate si applicano anche al contratto preliminare di vendita di un bene immobile, quando i coniugi sono in regime di comunione legale ed il contratto è sottoscritto da uno solo di essi.
La Cassazione, con sentenza n. 12923 del 2012, ha infatti chiarito che un contratto preliminare di vendita sottoscritto da uno solo dei coniugi è immediatamente efficace ma annullabile, appunto ai sensi del predetto articolo 184 c.c. Il coniuge non consenziente ha la possibilità di agire per l’annullamento entro un anno dalla scoperta dell’atto.
La nullità del contratto preliminare in caso di conoscenza della comunione (Cass. 8525/2018)
Discorso completamente diverso, qualora parte acquirente sapesse che il bene era parte della comunione legale e ciononostante avesse sottoscritto il contratto con uno solo dei due coniugi.
In questo caso, secondo Cass. n. 8525 del 2018, il contratto preliminare firmato da uno solo dei coniugi è radicalmente nullo. Il terzo è infatti a conoscenza del difetto di consenso della parte venditrice (non avendo uno dei coniugi partecipato all’atto) e quindi non può invocare l’art. 184 c.c. (che rende l’atto solo annullabile e l’azione esperibile soltanto entro un anno) che è finalizzato, come detto, anche a tutelare la buona fede del terzo (in questo caso non sussistente).
In conclusione i controlli pre acquisto (c.d. due diligence) sono fondamentali anche sotto tale profilo: tutte le volte in cui si preannuncia la stipula con uno solo dei coniugi, a meno che non sia evidente la natura personale del bene (ad esempio perchè di provenienza ereditaria), sarà opportuno estrarre un certificato dello stato civile per verificare il regime patrimoniale del venditore.