1. Cosa è il condominio
Il condominio si costituisce automaticamente quando un edificio è suddiviso in più unità immobiliari appartenenti a proprietari diversi. Le parti comuni come il tetto, le scale e le aree verdi, saranno gestite da un amministratore di condomino in virtù delle decisioni assunte dall’assemblea dei condòmini.
2. Funzionamento dell’assemblea condominiale: articolo 1136 del Codice Civile
L’articolo 1136 del Codice Civile regola la convocazione e il funzionamento dell’assemblea condominiale. Stabilisce i quorum necessari per la validità delle deliberazioni: in prima convocazione, è richiesta la presenza di due terzi dei condomini che rappresentino almeno i due terzi dei millesimi di proprietà mentre, in seconda convocazione, è sufficiente un terzo dei condomini con almeno un terzo dei millesimi. L’assemblea decide con maggioranza semplice su molte questioni ordinarie, ma per le decisioni più importanti, come le modifiche alle parti comuni, è necessaria una maggioranza più elevata.
3. Cosa è il condominio minimo
Il condominio minimo è un condominio composto soltanto da due proprietari.
Ad esso si applicano le stesse regole del condominio ordinario ma con alcune specificità, derivanti dalla difficoltà di applicare il criterio maggioritario per le decisioni assembleari.
4. Funzionamento dell’assemblea nel condominio minimo: commento alle sentenze
Nel caso del condominio minimo, le decisioni dell’assemblea devono essere prese all’unanimità. In assenza di unanimità sarà possibile rivolgersi all’autorità giudiziaria.
Questa la soluzione adottata dalla giurisprudenza di legittimità.
La sentenza n. 2046 del 2006 della Corte di Cassazione sancisce infatti che, seppure per i condomini minimi si applichino le norme del condominio ordinario (in materia di convocazione ad esempio), le decisioni debbano sempre e comunque essere adottate all’unanimità. Orientamento confermato da Cass. n. 5329 del 2017, la quale ha ribadito l’inapplicabilità del principio maggioritario.
Dello stesso avviso Cass. n. 16337 del 2020.
Il predetto orientamento ha la dichiarata finalità di evitare, in presenza di due condòmini aventi quote diverse, che il condòmino titolare di una quota inferiore sia sempre esautorato dalla gestione della cosa comune. La giurisprudenza ha sostanzialmente preferito considerare, ai fini della formazione della volontà assembleare, solo “le teste” (cioè il numero dei partecipanti, due, con conseguente impossibilità di individuare una maggioranza) e non “il peso delle quote” (cioè i millesimi).
Si tratta di una soluzione che, pur condivisibile negli intenti, non sfugge a due criticità: in primo luogo il rischio di una impasse è sempre dietro l’angolo e, tutte le volte in cui non verrà raggiunta l’unanimità, sarà necessario rivolgersi all’autorità giudiziaria; in secondo luogo vi sono ipotesi sostanzialmente analoghe a quella del condominio minimo (si pensi ad un condominio composto da 6 appartamenti, cinque appartenenti a due fratelli ed il sesto di proprietà di un estraneo alla compagine familiare) che, però, sono soggette alle regole ordinarie del condominio (quindi volontà che si forma a maggioranza e non all’unanimità).